/ Martina Forino / da scoprire arte e architettura cultura viaggi insoliti
Lalibela e le sue chiese rupestri, perla dell’Etiopia
Ci si sente un po’ intimiditi al pensiero di mettere piede in un Paese come l’Etiopia, vera e propria culla dell’umanità dove sono stati ritrovati i resti di Lucy, la nostra prima antenata austrolopiteco, e che si porta sulle spalle 2 milioni e 800 mila anni circa. Questo sorprendente Paese che confina con Somalia, Eritrea e Gibuti e che insieme a loro forma la macroregione del Corno d’Africa, custodisce tesori e tradizioni secolari, testimonianze fondamentali della storia e dello sviluppo dell’intera umanità.
Etiopia, antica culla dell’umanità e Lalibela
Anche la lingua qui affonda le sue radici nella storia dell’uomo: il ge‛èz, una lingua parlata che oggi rimane solo letteraria o utilizzata nelle liturgie, possiede uno degli alfabeti più antichi del mondo. In Etiopia si parla l’amarico, una lingua di origine semitica, anche se nel Paese vengono parlate più di 80 lingue, tante quante le diverse etnie presenti in questa zona. In Etiopia i differenti gruppi etnici danno vita ad un variopinto mosaico di contrasti culturali. Il cristianesimo ortodosso etiopico e l’islam convivono e sono entrambi praticati, anche se il cristianesimo rimane la religione maggiormente professata all’interno del Paese, di cui solo un terzo è di fede musulmana sunnita.
Una terra con un bagaglio ingombrante e antichissimo dove non ti aspetti di trovare addirittura dieci gradi di escursione termica tra la città bassa di Addis Abeba nella zona dell’aeroporto, a 2.400 metri, e la parte montana più alta, che tocca i 3.000 metri.
L’Etiopia è il secondo Paese più popoloso dell’Africa con 90 milioni di abitanti ed una crescita demografica che aumenta di anno in anno. È la terra dei discendenti, secondo la credenza etiope, di Menelik, figlio di re Salomone e della mitica regina di Saba, che qui chiamano Machedà. Gli eredi dell’antica dinastia governarono sull’Etiopia come negus neghesti, il re dei re, ultimo dei quali è stato Hailé Selassié, figura centrale nello sviluppo dell’Etiopia del XX secolo, grazie al progressivo cammino di distaccamento da schiavitù e da una società dominata da leggi tribali e da un’economia di impostazione feudale. Nel culto del Rastafarianesimo, Selassié è considerato come il nuovo messia e seconda incarnazione di Gesù e il nome del movimento deriva infatti da quello originale in amarico dell’imperatore: Ras Tafarì, il capo da temere. Nel 1948 Selassié concesse le terre della Sciasciamanna, 200 chilometri a sud di Addis Abeba, per il rimpatrio dei giamaicani Rastafari, che tuttora vivono lì in una piccola comunità.
Le surreali chiese rupestri di Lalibela
Quando l’esploratore portoghese Pêro da Covilhã arrivò per la prima volta nella città di Lalibela scrisse nel suo diario di viaggio una descrizione dettagliata di tale meraviglia, che concluse con: “mi pare che non sarei creduto se ne scrivessi ancora… Ma giuro su Dio, nel cui potere io sono, che tutto ciò che ho scritto è la verità”.
E in effetti il primo colpo d’occhio su questo imponente complesso di undici chiese scavate ognuna all’interno di un singolo blocco di roccia con il tetto a livello del terreno lascia letteralmente a bocca aperta. Si pensa che le chiese furono costruite, anche se la datazione è ancora piuttosto dibattuta, tra il XII e XIII secolo durante il regno di Gebre Mesqel Lalibela, imperatore che oggi come all’epoca era venerato come un santo dalla chiesa ortodossa etiope. Si dice che l’imperatore Lalibela visse a Gerusalemme, che nel 1187 era stata conquistata dai musulmani, e che volle costruire in questa zona a nord est dell’Etiopia, nella regione di Amhara, una replica della Città Santa, facendo intagliare ogni chiesa in un singolo blocco di roccia per simboleggiare l’umiltà e la spiritualità e come baluardo della fede cristiana.
Un luogo spirituale suggestivo sospeso nel tempo
Da allora questo luogo è meta di pellegrinaggi e rimango subito incantata dall’alone di misticismo che si diffonde nell’aria, dove si avverte in sottofondo il brusio di invocazioni e preghiere. Il muschio e i licheni ricoprono in molti punti le pareti di roccia, dando vita a decorazioni spontanee, e i muri dei passaggi che conducono da una chiesa all’altra ospitano anche i nidi di alcuni uccelli colorati che ci guardano passare incuriositi ma non troppo.
Da sopra le nostre teste i grandi babbuini Gelada, una specie endemica, ci sorvegliano impegnati nella pratica del reciproco spulciarsi o nello sgranocchiamento di qualche radice.
Alcuni monaci eremiti, ognuno custode di una chiesa, vivono ancora oggi negli edifici di pietra dedicandosi alla meditazione e all’ascetismo, e si offrono gentilmente per qualche scatto con i turisti, avvolti nei loro variopinti abiti caratteristici.
La Casa del Salvatore del Mondo è la più grande del complesso ed è anche considerata la chiesa monolitica più grande del mondo. La Chiesa di San Giorgio, con la pianta a forma di croce costruita come memoriale per l’imperatore Lalibela dopo la sua morte dalla vedova, è quella conservata meglio e sicuramente la più fotografata. Il perfetto equilibrio delle sue forme e la cura utilizzata per intagliarla mi fanno pensare a quanto impiego di lavoro e fatica debba esser stato fatto per realizzarla a quei tempi.
Attraverso un tunnel da qui si raggiunge la Casa di Maria, che pare essere la chiesa più antica del complesso. Gli intarsi delle finestre di alcune chiese donano un’aria di grazia e fragilità incredibili e anche le decorazioni e gli affreschi all’interno di alcune di esse lasciano davvero senza fiato. Alcuni paramenti sono coperti da pesanti tende e rimangono misteriosi perché possono essere ammirati soltanto dai preti. L’accesso alla Casa del Golgota Mikael purtroppo è vietato alle donne che possono ammirarla solo dall’esterno.
Al tramonto i credenti fasciati nei loro abiti chiari camminano lentamente a piedi scalzi come fossero un’unico corpo fino ai margini delle chiese, ascoltando la voce dei preti recitare lunghe preghiere ed elargire benedizioni. È allora che Lalibela rivela tutta la sua potente carica spirituale, che volteggia leggera nell’aria trasportata dalle preghiere mormorate e ripetute sottovoce dai fedeli in antica lingua ge‛èz diventando un suono quasi ipnotico.
Spesso a Lalibela si tengono dei festival religiosi molto colorati e caratteristici: una delle celebrazioni più importanti e sentite è Genna, il Natale Copto, che secondo il calendario di 13 mesi si festeggia a gennaio. Parteciparvi è davvero emozionante.
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